Roma, “Vieni che ti faccio la cura, a papino”: padre e zia torturano 13enne. Frustate, calci, schiaffi ‘in diretta telefonica’
Neanche fosse un film dell’orrore. Quello che ha vissuto Luca (nome di fantasia) è stato un incubo reale, fatto di botte, minacce e umiliazioni, da cui solo l’intervento dei Carabinieri lo ha liberato. E i mostri che lo tormentavano non erano estranei, ma le persone che avrebbero dovuto proteggerlo: suo padre e sua zia, sorella della madre, diventata la compagna dell’uomo. Ma, invece di cercare di ‘conquistarlo’, ecco che da parte de padre e della nuova compagna arrivano torture, soprusi e botte, in una spirale di violenza inaudita. Oggi per i due, accusati di maltrattamenti, era stata disposta la prima udienza presso il Tribunale di Roma, rimandata invece al 16 dicembre.
L’inferno a casa del padre
Tutto inizia nel 2018, quando Luca ha appena 13 anni. I genitori si separano, ma quella che dovrebbe essere una fase difficile si trasforma in un calvario. Il padre, che nel frattempo ha intrecciato una relazione con la sorella della ex moglie, non solo non riesce a mantenere un rapporto civile, ma riversa sul figlio tutta la propria rabbia.
Le accuse nei confronti della coppia, che vive a Roma in zona Balduina, sono pesantissime. Le violenze erano sia fisiche che verbali, da parte di entrambi. L’uomo, ora 60enne, e la donna, ora 49enne, non si risparmiavano. Si rivolgevano al ragazzino con frasi del tipo “Brutto testa di ca**o, mi fai schifo, sei un ingrato”. Oppure minacciavano di “ucciderlo di botte”, di “gettarlo dalla finestra” o di “farlo ca**are sotto a suon di botte”. E le botte arrivavano davvero. Dai calci agli schiaffi, come quelli dati in piena notte il 13 agosto del 2018, mentre il bimbo dormiva. “Svegliati”, gli hanno tirandogli i capelli e poi riempendolo di ceffoni. Il ragazzino, terrorizzato, non è riuscito a trattenere l’urina, dalla paura, bagnando così il letto. E giù insulti e altre minacce per aver sporcato il letto.
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Il salto dal furgone: “Non voglio andare con papà, mi mena sempre”
E altri schiaffi, talmente violenti da preferire un vero e proprio “salto nel vuoto”, sono quelli che riceve il bambino il 10 settembre dello stesso anno, al termine di una partita di basket. Il padre, che lo deve riaccompagnare a casa con un furgone, lo picchia lungo la strada. E Luca, terrorizzato, apre lo sportello e si lancia sull’asfalto. Meglio morto, che con il padre. “Non voglio andare con papà, ho paura, mi mena sempre”, grida mentre si butta dal furgone piangendo.
Ma la sua agonia non è finita. Il 17 ottobre, sempre del 2018, il padre mette in pratica le minacce rivolte telefonicamente il giorno prima all’ex moglie. Fa avvicinare il figlio con la solita frase. “Vieni che ti faccio la cura, a papino…”. E Luca capiva che qualcosa di terribile sarebbe arrivato. Ma mai avrebbe immaginato quello che sarebbe successo quel giorno. “Spogliati, perché ti potrebbe uscire il sangue di dosso”, gli ordina il padre, mentre telefona all’ex moglie per farle sentire cosa stava facendo al figlio.
Le frustate in diretta al telefono con la mamma
E, con la mamma del piccolo che sente inorridita la scena dall’altra parte del telefono, inizia a frustare Luca sulla schiena, usando la tracolla di una borsa. 10 frustrate, mentre il bambino piange e si contorce dal dolore. Ma non basta, il padre non è contento. Lo afferra per i capelli, lo schiaffeggia e gli dice: “Brutto testa di ca**o, mi fai schifo, sei un ingrato”. E gli tappa la bocca per impedirgli di chiedere aiuto. L’uomo non è ancora soddisfatto. Dopo le frustate, gli schiaffi e i capelli tirati, sbatte per terra Luca, gli sputa addosso e lo colpisce con altri schiaffi, stavolta in faccia. E la sua compagna, presente durante tutta la scena, invece di intervenire per difendere il bambino gli urla contro per aver sbattuto contro un tavolino mentre il padre lo massacrava di botte: “Guarda cosa hai combinato in casa nostra! Hai fatto cadere il tavolino!”. E ne approfitta per dargli due calci. Il padre allora lo obbliga a mettersi in ginocchio per chiedere scusa.
La fine dell’incubo
A salvare Luca è la prontezza della madre, che, sconvolta da ciò che aveva appena ascoltato al telefono, chiama subito i Carabinieri. Ma quando i militari sono arrivati a casa, l’uomo ha tentato di far apparire tutto normale, costringendo il figlio a dire che andava tutto bene. “Se parli, dopo ti ammazzo di botte”.
Ma le parole dell’uomo non hanno convinto i Carabinieri. E la denuncia della madre, unita a quella dei nonni, è andata avanti. Il ragazzo, che ora ha 20 anni, seguito dall’avvocato Pierluigi Nazzaro, ha portato il padre e la zia davanti al giudice. E dovrà rivivere le frustate, i calci, la paura che lo paralizzava ogni volta che sentiva quella frase maledetta: “Vieni che ti faccio la cura, a papino”. Oggi quella cura si chiama giustizia. E per chi ha trasformato l’infanzia di un bambino in un film dell’orrore, è arrivato il momento di guardare in faccia le proprie colpe.