Roma, villa Ada, riapre il Panamino (dopo abusi e sigilli): maxi concessione al privato, ma con canone “mini”
Roma, il Panamino di Villa Ada tornerà in funzione presumibilmente entro la prossima primavera 2026, come da noi preannunciato le scorse settimane. Dopo anni di chiusure, denunce di abusi, sigilli giudiziari, polemiche a mezzo stampa e rimpalli di responsabilità politico-amministrativa rimbalzati sui media anche nazionali, il famoso chiosco-bar nel Parco Rabin è pronto a ripartire con una formula che a Roma sta diventando sempre più frequente: il project financing, cioè “il privato investe e poi gestisce”. Sulla carta è una buona notizia: un punto ristoro che riapre e un’area che, almeno nelle intenzioni, viene rimessa in sesto. Politicamente, però, la domanda è subito un’altra: a quali condizioni e con quanta trasparenza?
Dodici anni al privato, canone base: 1.500 euro al mese
Il dato che colpisce è questo: la concessione prevista (gli atti sono stati pubblicati solo oggi, 31 dicembre, li alleghiamo in formato scaricabile alla fine di questo articolo) è di 12 anni e il canone complessivo indicato come base è 216 mila euro per tutto il periodo. Tradotto: 18 mila euro l’anno, cioè 1.500 euro al mese (poi in gara potrà eventualmente salire) per un luogo a dir poco esclusivo. In parallelo, l’investimento “fisico” per lavori e allestimenti viene stimato intorno ai 150 mila euro, a carico del privato. Ed è qui che si accende il confronto: è proporzionato affidare una gestione lunga dodici anni per un intervento economico relativamente contenuto? Oppure il vero costo sta nella manutenzione, nella pulizia, nel personale, negli obblighi di gestione e nei servizi promessi?
Il vero nodo: trasparenza prima degli slogan
A far rumore non è solo il modello, ma la fiducia. Perché quando si parla di un pezzo di parco pubblico, la regola dovrebbe essere semplice: tutto leggibile, tutto verificabile, prima e non dopo. Invece, la sensazione — tra cittadini e comitati — è che la parte più importante resti spesso opaca: dettagli economici, regole operative, limiti e controlli. Senza documenti chiari su orari, prezzi, impatto acustico, accessibilità e tutela del verde, “servizi alla cittadinanza” rischia di restare una formula buona per i comunicati, non per la vita reale del parco. Il Comune di Roma, al momento, ha pubblicato solo ed esclusivamente due documenti, tutto il resto degli allegati non sono al momento visibili.

Una storia pesante: sigilli, contenziosi, demolizioni
Il Panamino non è un chiosco qualunque. Il suo passato pesa come un macigno: negli anni si sono accumulati contenziosi, contestazioni su strutture aggiunte rispetto all’originario, e l’ombra di abusi edilizi. In tempi recenti è arrivata anche la chiusura con i sigilli, con contestazioni amministrative e una concessione finita al centro delle polemiche.
Poi si è parlato di demolizioni e “ripartenza”, come se l’area dovesse essere riportata a una base pulita prima di ogni nuovo progetto. È proprio questo passato che rende la riapertura un fatto politico: non basta dire “riparte”, bisogna spiegare come e con quali garanzie. I vecchi abusi saranno abbattuti? Sanati? Al momento, non è dato saperlo, nel dettaglio.
Perché la politica spinge sul project financing
La spinta politica è comprensibile: Roma ha manutenzioni arretrate, servizi nel verde spesso insufficienti, risorse pubbliche limitate e tempi lunghi. Il project financing viene presentato come soluzione pratica: il Comune non mette soldi subito e il privato si prende in carico lavori e gestione. Ma il punto politico — soprattutto dopo la stagione dei “Punti Verde” e delle ferite mai del tutto chiuse — è che il rischio di ripetere vecchi errori esiste se mancano paletti chiari e controlli severi. Qui non si parla di un locale in una strada commerciale: si parla di un bene comune, di verde pubblico, di un luogo che appartiene a tutti.
Le domande che contano: chi controlla, cosa resta pubblico
Se davvero il Panamino riparte “per i cittadini”, allora servono risposte semplici, comprensibili e pubbliche. Prezzi accessibili o da locale esclusivo? Orari e musica: come si tutela la quiete e come si evita l’effetto “movida nel parco”? Quali obblighi reali di pulizia, manutenzione e decoro, e con quali controlli? E soprattutto: questa gara sarà davvero competitiva, o rischia di trasformarsi in una corsa già scritta, dove il meccanismo favorisce chi ha presentato la proposta iniziale?
Perché una cosa è certa: Villa Ada non è un centro commerciale. È un pezzo di Roma che dovrebbe restare di tutti. E quando la politica affida un pezzo di parco per dodici anni, non può chiedere fiducia a scatola chiusa. Servono carte chiare, regole semplici e controlli veri. Non slogan politici sussurrati sui media-amici.
