Sanità Lazio, mancano 500 medici di famiglia: e Rocca assume neo-specializzati con “contratti fantasma”

Un medico di base che opera nella Regione Lazio

La sanità laziale “gioca” con i numeri, cercando di tenersi in equilibrio. Un gioco difficile, quasi impossibile, con cui qualcuno potrebbe farsi male. I pazienti, per esempio. Ma non solo. Nel Lazio ci sono 500 medici di famiglia in meno su circa 3.700 posti totali. Fatti i conti della serva, più del 13 % della forza lavoro manca all’appello. Un buco grande come una voragine. È la fotografia di una sanità territoriale in affanno, dove l’assenza del medico di base si traduce ogni giorno in ore di fila, ma anche in pronto soccorso sovraccarichi e famiglie costrette a cercare risposte in strutture nate per l’emergenza, non per la cura quotidiana.

Già, perché chi non riesce ad avere risposte dal medico di base va in ospedale, anche per cose semplici. E sovraccarica un sistema già al collasso. E, rimediare a questo gap, il Presidente della Regione Lazio, nonché assessore alla Sanità Francesco Rocca, cosa fa? Prova a dare una risposta rapida, tanto veloce quanto improvvisata: reclutare giovani medici appena specializzati con contratti che molti definiscono, per usare un eufemismo, “fantasma”. “Firmate qui, vi diremo dopo dove lavorerete e quanto guadagnerete”. Il risultato è che la medicina territoriale somiglia sempre più a un reality show mal scritto: il pubblico (i cittadini) resta fuori, la troupe (i medici veri) è sottodimensionata e le scene si ripetono all’infinito nei pronto soccorso.

Un bilancio sconfortante e una scelta discutibile

La carenza di medici di base non è una questione secondaria. È il primo livello di tutela sanitaria e quando questo si incrina, saltano le fasce più vulnerabili. Pazienti che restano senza medico, code interminabili nei poliambulatori la domenica, pronto soccorso presi d’assalto per gestire rinnovi di prescrizioni. E qui entra in scena Francesco Rocca, che ha deciso di accelerare i tempi con contratti “a scatola chiusa”. Un gesto che può sembrare pragmatico, ma che rischia di diventare drammatico: incarichi senza sede certa, compensi oscuri, territori scoperti e giovani medici in attesa di definizioni chiare.

Alcuni specialisti entrati in squadra con la speranza di una carriera stabile si sono ritrovati a firmare documenti che non specificano sede, retribuzione o durata certa. In pratica, si è scelto di reclutare in fretta, piazzare “un medico in più” e magari inviare comunicati con numeri roboanti. Peccato che, dietro quelle cifre, ci sia una realtà diversa. C’è la differenza tra un medico che si trasferisce in una borgata per radicarsi e curare una comunità, e un medico che accetta un incarico provvisorio “dove capita”, pronto a scappare alla prima offerta migliore. E quindi posti riempiti solo sulla carta. In pratica, una riforma annunciata come salvezza che, nei fatti, scarica l’emergenza su chi deve già sopperire alla carenza.

C’è chi dice no: i sindacati non ci stanno

Non sorprende che le organizzazioni di categoria abbiano alzato la voce. I sindacati dei medici di famiglia criticano con forza la gestione regionale, denunciando la logica dell’emergenza permanente e contestando la strategia comunicativa che punta più all’apparenza che alla sostanza. E la loro non è una posizione di protesta fine a sé stessa. È il tentativo di difendere un sistema che, se fragile, diventa pericoloso per l’intero tessuto sociale. Rocca e l’intera politica regionale dovranno spiegare due cose: perché non hanno previsto un vero piano di reclutamento e stabilizzazione. E perché hanno scelto di rispondere con procedure che non garantiscono sicurezza contrattuale né qualità assistenziale. La risposta non può essere il “metterci una pezza” temporanea, quando il tema è strutturale.

Non bastano annunci-spot né contratti lampo. Servono piani assunzionali stabili, contratti trasparenti. La sanità nel Lazio non ha bisogno di altri slogan, ma di medici. Veri, e che restino.