Solitudine, dopo la pandemia è allarme soprattutto tra i giovani. Crescono quelli emarginati

“Dal periodo della pandemia, delle restrizioni e del lockdown, c’è stata una frattura nelle relazioni, abbiamo perso l’abitudine a incontrarci e i rapporti sono molto cambiati. I giovani hanno investito molto sui social, gli anziani no e infatti sono quelli che patiscono di più. Una delle conseguenze più gravi della pandemia è stata la distruzione delle relazioni, che ci aiutano a mantenere attivo il cervello sociale. Stando soli ci fissiamo sulle nostre paure, rafforziamo i pensieri personali e diventiamo meno capaci di confrontarsi. È un attimo che il confronto con gli altri diventi scontro”. Lo afferma Giancarlo Cerveri, psichiatra e autore del libro “Non ti fissare”, in un’intervista a “Il Giornale” che cita uno studio americano secondo il quale la solitudine “può rivelarsi mortale come il vizio del fumo e può aumentare il rischio di morte prematura del 30%» mette in allerta Vivek Murthy, la massima autorità sanitaria Usa.
Le App hanno sostituito l’antico “muretto” dove si parlava
“Sono aumentati i cosiddetti ragazzi Hikikomori. Sono persone molto difficili da aiutare. Hanno creato un habitat in cui credono di comunicare con l’esterno tramite i social e in cui riescono anche a guadagnare, con attività on line. – spiega Cerveri -. Non pensano di avere un problema. Devono essere i genitori ad accorgersene e a rivolgersi ai servizi di salute mentale. A questi ragazzi manca una reale comunicazione emotiva”. “I social hanno cambiato il nostro modo di relazionarci, di innamorarci. Le app per gli incontri sono sempre più mirate: ci sono quelle per gli adulti, per i giovani, per le persone con disturbi dello spettro autistico. Stanno sostituendo quello che una volta era il muretto attorno al qualche i ragazzi si incontravano a parlare”, conclude Cerveri.
