Stadio della Roma, progetto definitivo entro novembre: parco da 11 ettari, scadenze Uefa e caratteristiche
Il progetto definitivo del nuovo stadio della Roma a Pietralata è atteso entro fine novembre. Dopo anni di ipotesi e carte, il dossier entra nella fase decisiva: quella in cui le tavole diventano impegni, le prescrizioni si trasformano in cantieri e i tempi smettono di essere slogan. L’impianto, che dovrebbe sorgere nei pressi di via degli Aromi, è pensato come fulcro di un intervento più ampio di rigenerazione urbana, con funzioni sportive ma anche servizi e spazi pubblici. Il passo di novembre è cruciale perché consente di incrociare due binari: l’iter amministrativo verso l’apertura entro il 2029 e la corsa “virtuale” per allinearsi alle scadenze Uefa.
Stadio della Roma, le date che contano (e perché)
Nel calendario ci sono due paletti. Il primo è la prospettiva di aprire i cancelli entro il 2029, compatibilmente con gli iter autorizzativi e i lavori. Il secondo è molto più vicino: il termine del 2026 fissato dall’Uefa per candidare l’impianto in vista degli Europei del 2032. Tradotto: prima ancora della piena operatività, lo stadio dovrà esistere “sulla carta” in modo solido e verificabile, con un quadro tecnico definito per poter competere con altri impianti. È una corsa contro il tempo che impone un processo decisionale rapido ma trasparente.
Un polmone verde da 11 ettari: non solo calcio
Il progetto non prevede solo gradinate e spogliatoi. Il cuore civile dell’intervento è un parco attrezzato di 11 ettari, presentato come un “polmone di gioia” a servizio dell’intero quadrante. Per i cittadini significa spazi aperti, percorsi, aree sportive leggere e zone di sosta che – se ben gestite – possono vivere 7 giorni su 7, non solo nelle 48 ore di un weekend di campionato. È qui che si misura la vera utilità pubblica: nella qualità e fruibilità del verde, nella manutenzione programmata, nell’illuminazione, nella sicurezza e nella facile accessibilità pedonale.
Mobilità e accessi: le domande da fare adesso
Ogni stadio è innanzitutto una questione di mobilità. Prima ancora di discutere di capienza o acustica, ai residenti interessa sapere come si arriverà e, soprattutto, come si andrà via senza bloccare la vita di quartiere. Servono piani di traffico dedicati per gli eventi, parcheggi calibrati per non attirare auto in eccesso, potenziamenti del trasporto pubblico nelle fasce critiche, percorsi protetti per pedoni e ciclisti, presidi di sicurezza ai varchi. Una progettazione seria deve quantificare flussi, frequenze, tempi di deflusso e misure di mitigazione. Sono numeri che dovranno stare neri su bianco nel progetto definitivo.
Tutela ambientale: il nodo del “bosco”
Dal territorio arrivano voci chiare: “Bosco da tutelare, il pm sequestri l’area”, chiedono alcuni residenti. È un segnale che non va derubricato a folklore. L’iter deve misurarsi con rilievi botanici, vincoli, esiti degli scavi archeologici e valutazioni ambientali puntuali. La sfida è dimostrare con dati che l’opera non consuma natura ma la integra, compensando e migliorando. Le parole chiave sono: perimetrazione delle aree sensibili, cantiere a basso impatto, monitoraggi indipendenti, opere di compensazione documentate e tempi certi per ripiantumazioni e manutenzioni. Senza questi elementi, ogni promessa resta fragile.
Regole e trasparenza: che cosa significa “pubblico interesse”
La delibera di pubblico interesse non è un timbro simbolico: impegna a rispettare procedure, standard e controlli. Per i cittadini questo significa accesso agli atti, pubblicazione delle carte, confronto con i comitati e risposte tecniche verificabili. Ogni variante deve avere motivazioni, costi e benefici esplicitati. Un grande intervento urbano è accettabile solo se produce ricadute concrete: spazi pubblici curati, connessioni migliori, sicurezza diffusa, opportunità per il commercio di vicinato e lavoro locale in fasi di cantiere e gestione.
L’altro fronte: Flaminio e il caso procedure
In parallelo resta aperto il dossier Flaminio, su cui pende una questione tutta tecnico-amministrativa: la scelta della procedura. In origine si ragionava su una concessione; ora si parla di “diritto di superficie”. Non è un dettaglio. Cambia la struttura giuridica, cambiano le garanzie e va rifatto il piano economico-finanziario da capo. Prima di ripartire servono passaggi formali tra Avvocatura e Segretariato generale. Per i cittadini la domanda è semplice: qual è la strada che tutela meglio interesse pubblico, tempi e sostenibilità economica? La risposta dovrà stare negli atti, non nei proclami.
E l’Olimpico? Opportunità di riconversione
Con due club proiettati verso case più su misura, l’Olimpico potrebbe liberare potenzialità finora compresse. L’ipotesi di una riconversione dell’area in un grande Parco dello Sport, con spazi aperti e funzioni diffuse, è più di una suggestione: può diventare un volano di riqualificazione per l’intero asse urbano, riducendo la pressione degli eventi calcistici e aprendo a utilizzi quotidiani, scolastici e cittadini. Anche qui, però, tutto dipende da progetti chiari, governance condivisa e manutenzione garantita nel tempo.
Cronoprogramma realistico e cantieri “gentili”
Il rischio più grande non è sognare in grande, ma sfasare i tempi. Un cronoprogramma credibile separa fasi e responsabilità, indica milestone verificabili e prevede penali. Nei quartieri, la differenza la fa il cantiere: recinzioni che non tagliano la vita quotidiana, percorsi alternativi segnalati, orari rispettosi, polveri e rumori sotto controllo, comunicazione costante con i residenti. È la grammatica dei “cantieri gentili” che trasformano le opere da incubo a opportunità condivisa.
Che cosa controlleremo nei prossimi mesi
Tre verifiche diranno se la svolta è vera: 1) la qualità del progetto definitivo, con numeri chiari su mobilità, verde, sicurezza e manutenzione; 2) la coerenza con le scadenze Uefa del 2026, senza scorciatoie procedurali; 3) la trasparenza del dialogo con il territorio, dai rilievi ambientali alle opere di compensazione. Se questi tasselli andranno al loro posto, Pietralata potrà davvero guadagnare uno stadio “tra i più belli” e, soprattutto, uno spazio pubblico migliore. Perché un’opera è grande quando rende più semplice la vita di chi la abita, anche quando la partita è finita.