Storia di un’eccellenza italiana: un libro racconta le gloriose vetrerie Sciarra di Roma

“Il vetro non si può riparare: occorre cambiarlo”. Fu questo il principio che informò Pietro Sciarra forse fin da quando fu mandato “a bottega” a 9 anni. Un secolo fa era normale, e il lavoro minorile era consentito con certe garanzie. Pietro ebbe coraggio: aveva capito che l’industrializzazione lanciata dal fascismo avrebbe richiesto un sacco di vetro, e lui comprò un piccolo terreno a San Lorenzo, vicino allo scalo ferroviario, e vi impiantò la sua impresa. Il vetro era necessario in quel momento, c’erano pochi che lo producevano, e Sciarra era uno di questi. La prima bottega di Pietro Sciarra aprì in via dei Volsci, a San Lorenzo, nel 1926. Aveva capito che la logistica era la carta vincente dell’industris: le ferrovie, i trasporti, il fatto di essere baricentrico su Roma orientarono la sua scelta. E costava poco.
L’epopea delle vetrerie Sciarra in un libro
Claudio Sciarra, avvocato, uno dei tanti nipoti di Pietro, ha deciso di raccontare questa epopea in un bel libro: “Specchi – Storia degli Sciarra imprenditori del vetro”, insieme con la giornalista Paola Pilati. Fu l’architettura, il programma delle case popolari dell’Ifcp e la spinta alla modernizzazione data al fascismo dall’Italia a spingere all’insù l’impresa di Pietro Sciarra. Milioni di vani costruiti, le mostre, il vetrocemento, l’Eur, furono tra i fattori che trainarono l’imprenditoria vetraria in Italia per alcuni decenni. Ma l’altra coincidenza, se così si può chiamare, è che le vetrerie Sciarra sopravvissero alla Seconda Guerra Mondiale e dettero il contributo all’edilizia e al suo boom che vide la ricostruzione del Paese dalle macerie della guerra. Tra l’altro, nel 1937, lo stesso Mussolini visitò in pompa magna la fabbrica.

Le vetrerie di Pontegaleria
Pietro intanto aveva aperto la fabbrica di Ponte Galeria, ancora oggi visibile, seppur in rovina. Nel secondo dopoguerra, le cose andarono ancora meglio, c’era una nazione da ricostruire e le vetrerie Sciarra fecero sempre il loro dovere. Il libro racconta nei dettagli la storia dell’azienda, sottolineando che fu sempre a conduzione familiare, dato che Pietro aveva sette figli. Pietro poi morì nel 1951, a soli 57 anni, e l’azienda fu gestita da Cesare, mentre la fabbrica di Pontegaleria dal figlio Roberto. Molti dei quartieri che oggi conosciamo, dall’Olgiata, all’Eur, a Vigna Clara, al Prato della Signora, sono stati edificati con i vetri Sciarra. Anche la nuova ambasciata inglese di Porta Pia fu una vetrina per gli Sciarra. Tutta la famiglia era in un modo o nell’altro coinvolta nella gestione di questa grande impresa creata da nonno Pietro.
La crisi degli anni Ottanta
La crisi per le vetrerie Sciarra si chiama Pilkington, un nuovo brevetto inglese che già dagli anni Sessanta mise in crisi l’industria degli Sciarra. Le imprese enormi, come Sait Gobain e Siv iniziarono a produrre vetro in quantità, e anche la Jugoslavia si mise a esportare vetri a bassi costi. Le vetrerie Sciarra, dice l’autore, fecero la fine del classico vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. Anche la moda cambiò, le serre preferirono la plastica, e nonostante gi sforzi sovrumani degli Sciarra, nel 1986 si dovette dolorosamente chiudere la società. Ma senza fallire: tutti i creditori furono pagati e gli immobli furono venduti. Quello di San Lorenzo fu acquistato anni dopo dall’Università La Sapienza, e qualche nipote di nonno Pietro ci laureò pure. La scritta “Specchi critalli e vetri Pietro Sciarra” c’è ancora.