Tivoli, lo Stato occupa per 17 anni un terreno vicino l’Acquedotto: ‘Multa salata’ per il proprietario che chiede Giustizia

Tivoli, l'antico Acquedotto romano e i terreni e case circostanti, foto Google Maps

Contenuti dell'articolo

Tivoli, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha respinto il ricorso presentato dai proprietari di un terreno privato, adiacente la loro casa, occupato per 17 anni dallo Stato per consentire la ‘presunta’ pulizia dell’antico Acquedotto romano “Anio Novus”. Una vicenda iniziata nel 2008 che ha visto i privati chiedere il riconoscimento dei propri diritti dopo quasi due lunghissimi decenni di limitazioni, fastidi e privazioni varie. I privati sono stati condannati dai giudici a pagare oltre 3mila euro di spese legali. La sentenza ha difatti dato piena ragione al Ministero dei Beni Culturali, ribadendo la legittimità dell’occupazione ‘temporanea‘. Una occupazione che sarebbe dovuta durare 12 mesi salvo proroga, così scrisse a sua tempo il Ministero ai proprietari.

Un terreno privato di Tivoli fronte Acquedotto romano al centro della vicenda

Il terreno interessato non è un’area qualsiasi. Si tratta di una porzione di proprietà privata in cui risiede una famiglia, confinante con l’antico Acquedotto romano. Una vicenda che ha visto lo Stato entrare nel cuore della vita domestica, trasformando lo spazio di una casa in parte di un cantiere pubblico. Il ricorso dei proprietari nasce dalla volontà di ottenere la restituzione formale del terreno e un indennizzo per il lungo periodo di compressione del loro diritto.

L’occupazione: sette anni di cantiere e poi? Il nulla…

Il decreto iniziale, datato 2019, prevedeva un’occupazione “temporanea” della durata di dodici mesi, prorogabili. Nella realtà, i lavori e le relative limitazioni si sono protratti per anni, con un cantiere che – secondo i ricorrenti – è rimasto inattivo anche dopo il termine delle opere di consolidamento. Una condizione che, per la famiglia coinvolta, ha significato convivere con un terreno sottratto all’uso quotidiano, senza ristoro economico né indennità.

Le ragioni del Tribunale

Secondo il Tar, non c’è stata alcuna illegittimità nell’azione dello Stato. L’occupazione, ha spiegato il collegio, non è assimilabile a un’espropriazione ma a una misura temporanea, necessaria per garantire la conservazione del monumento e la sicurezza pubblica. La legge, in materia di beni culturali, riconosce infatti allo Stato poteri speciali che possono incidere sulla proprietà privata senza obbligo di indennizzo, in nome dell’interesse superiore alla tutela del patrimonio storico.

Proprietari “sconfitti” e condannati alle spese

Il Tar ha respinto tutte le doglianze dei proprietari, ritenendo infondate le accuse di “eccesso di potere” e di violazione delle garanzie procedimentali. Al contrario, ha confermato la piena legittimità del decreto ministeriale. A ciò si è aggiunta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese legali: 3.000 euro oltre oneri di legge. Una decisione che rappresenta un duro colpo per chi chiedeva risarcimenti e restituzione immediata del terreno.

Una vicenda che solleva interrogativi

La sentenza chiude formalmente una disputa durata anni, ma lascia aperti interrogativi più ampi. Fino a che punto l’interesse pubblico può comprimere i diritti individuali? Qual è il limite fra tutela del patrimonio e rispetto della proprietà privata? E soprattutto: che destino avrà quell’area, divisa tra vincoli archeologici e proprietà privata?

Domande che restano sospese, mentre i proprietari si trovano non solo privati della loro battaglia, ma anche costretti a sostenere le spese processuali di uno scontro che, almeno in sede giudiziaria, si è rivelato impari. In ogni caso, i proprietari del terreno occupato hanno facoltà di presentare ricorso di secondo grado al Consiglio di Stato contro tale sentenza di primo grado.

Tivoli, l’area oggetto di occupazione da parte del Ministero, foto dall’alto Google Maps – www.7colli.it