Toni D’Angelo racconta Nino D’Angelo, arriva il film-concerto ‘Nino. 18 giorni’: “Vi mostro la parte più intima di mio padre”
Il suo nome non è ancora famoso come quello del padre. Ancora. Ma Toni D’Angelo ha tutta l’intenzione di percorrere la sua strada e di andare lontano. Con la calma di chi sa che il talento non ha bisogno di clamore, ma anche con la fame di chi è cresciuto tra due città, Roma e Napoli, e non ha mai smesso di cercare la propria voce. E oggi, con il film “Nino. 18 giorni”, Toni quella voce l’ha trovata. È la voce di un figlio che si confronta con il mito del padre, ma anche di un regista che non teme di sporcarsi le mani con la realtà, di entrare dentro le cose e raccontarle senza filtri.
Un film che è un concerto di Nino D’Angelo. Meglio di un concerto, ancora più bello, perché si ha la possibilità di assistere allo spettacolo da una prospettiva diversa, ovvero dalla parte più intima di Nino, che si mostra in tutta la sua semplicità, dai momenti familiari a quelli più drammatici e profondi.
Toni D’Angelo, da Napoli a Roma: due città, una sola anima
“Sono nato a Napoli e cresciuto tra due città che porto dentro ovunque vada. Napoli è la mia radice, Roma mi ha accolto da bambino. Quando avevo solo sei anni ho lasciato la mia terra, ma quella passione per la vita, la musica e il cinema non mi ha mai abbandonato”, racconta Toni. La sua voce vibra di malinconia, ma anche di determinazione. “Suonavo, guardavo film, riflettevo su cosa ci fosse dietro quella magia chiamata Arte. Al liceo ho capito che quella magia dovevo viverla da dentro. E così sono arrivato al D.A.M.S., dove ho dedicato la mia tesi a un regista che mi ha cambiato la vita: Abel Ferrara. Con lui ho mosso i primi passi sul set, imboccando la strada che avrebbe definito tutto: “Toni D’Angelo, regista”. Ed eccomi qui”.
Ogni storia nasce da una scintilla
Toni parla di cinema come di una fede. “Ogni film nasce da un’intuizione, da un’emozione che ti scatta dentro. Una notte, il mio primo lungometraggio, è nato così. Con Poeti ho camminato per Roma inseguendo le voci di chi scrive versi. Con L’innocenza di Clara ho cercato il buio e la luce delle cave, come a scavare nell’invisibile”. C’è una coerenza profonda nel suo percorso, una voglia di raccontare la verità delle persone e dei luoghi, senza abbellimenti. “Il mio lavoro è una continua ricerca. Voglio trasformare le idee in esperienze autentiche, creare mondi veri, vivi, mai idealizzati. Anche nei momenti più oscuri, cerco sempre l’anima”.
Il suo cinema non è mai estetico fine a sé stesso. È carne, asfalto, luce che taglia il buio. “Filmstudio, Mon Amour è stato il mio tributo a un luogo che ha fatto nascere il cinema di molti. In Falchi ho cercato la tensione di un poliziesco urbano e crudo, mentre con Nessuno è innocente ho avuto l’onore di aprire la Settimana della Critica di Venezia. Poi è arrivato Calibro 9, il mio dialogo con il poliziesco italiano di ieri e di oggi”. Ogni progetto è un frammento di un unico percorso. “La mia meta è dare vita a immagini che abbiano anima, non solo forma. Viverle dall’idea alla proiezione, fino a quando non diventano vive davvero, dentro chi le guarda”, spiega Tony.
“Nino. 18 giorni”: quando il cinema diventa confessione
Ed è proprio con “Nino. 18 giorni” che Toni mette in scena qualcosa di più profondo: sé stesso. “Questo film nasce da una ricerca personale. È un viaggio tra ricordi e futuro, tra lavoro, musica e famiglia. È la mia dichiarazione d’amore per mio padre, Nino D’Angelo, e per tutto ciò che la sua storia rappresenta”. Il titolo, spiega, non è casuale. “18 giorni: il tempo che avrei voluto avere per conoscerlo davvero prima. In quel film ho rimesso insieme ciò che il tempo aveva separato. Non è solo la storia di un artista, ma di un padre e di un figlio che finalmente si ritrovano”.
Ma cosa significa essere figlio di Nino D’Angelo? Quanto pesa avere questo nome e avere paura di essere additato come ‘figlio di’? “No, non mi pesa essere suo figlio. Anzi, ne sono fiero. Per anni ho cercato la mia identità, ma oggi so che raccontare la nostra storia è stato il modo più vero per affermare chi sono. Nino è un uomo che ha attraversato tutto – la povertà, il successo, le critiche – e ne è uscito con dignità. Quel coraggio lo porto dentro anch’io, ogni volta che accendo una cinepresa”.
Lui non rincorre la fama. Rincorre la verità. E forse è proprio per questo che Toni D’Angelo non è “solo il figlio di Nino”. È un autore che cammina con passo deciso verso il suo posto nel cinema italiano, senza scorciatoie. Ed è per questo che, per Toni, “Essere autentici significa non avere paura di mostrarsi per quello che si è, anche quando fa male. Ed è esattamente questo che cerco di fare ogni volta che racconto una storia”.