Tra Roma e Pomezia un maxi Parco Fotovoltaico: il progetto finisce in Tribunale
Un grande impianto fotovoltaico a terra, un vero e proprio parco fotovoltaico, di circa 4.768 kW di potenza, previsto in campagna tra Roma e Pomezia, non si farà. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha respinto il ricorso della società E. Q. S.r.l., che chiedeva l’annullamento del diniego rilasciato da Roma nell’ambito della procedura abilitativa semplificata (PAS). La società ha facoltà di presentare ricorso contro tale sentenza al Consiglio di Stato, secondo e ultimo grado della Giustizia Amministrativa. Al centro del contenzioso, il bilanciamento fra due interessi pubblici di primo piano: da un lato la spinta alla produzione di energia da fonti rinnovabili, dall’altro la tutela del paesaggio agrario dell’Agro Romano, riconosciuto di “notevole interesse pubblico”.
Dove doveva sorgere il maxi parco fotovoltaico
Il progetto prevedeva l’installazione di oltre 8.000 moduli fotovoltaici su un’area agricola di circa 61.800 metri quadrati in via della Selvotta, nel quadrante sud di Roma, tra Laurentina e Ardeatina, verso Pomezia.
Secondo la società proponente, si trattava di un’area “idonea per legge” perché prossima – entro 500 metri – a cave, una discarica e alla sottostazione elettrica “Roma Sud” di Terna. Una zona, dunque, già fortemente compromessa, a loro dire, sotto il profilo ambientale e paesaggistico.
Su questo presupposto, E. Q. chiedeva che il progetto potesse beneficiare delle regole più snelle previste per gli impianti in aree idonee.
La procedura semplificata e il ruolo degli enti
Per realizzare l’impianto, la società aveva attivato la PAS, uno strumento pensato per accelerare e semplificare gli interventi legati alle energie rinnovabili. Roma ha quindi avviato una conferenza di servizi in modalità semplificata, coinvolgendo gli enti competenti.
La Regione Lazio ha espresso un parere paesaggistico favorevole con prescrizioni, mentre l’Agenzia delle Dogane ha dato il proprio assenso condizionato. Decisamente diverso l’orientamento della Soprintendenza speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma, che ha espresso un secco “no” sulla base della tutela paesaggistica dell’area.
Proprio questo parere negativo è diventato il fulcro del procedimento e, successivamente, della battaglia legale.
Perché la Soprintendenza ha detto no
Secondo la Soprintendenza, l’impianto ricadeva all’interno dell’“Ambito Meridionale dell’Agro Romano” tra Laurentina e Ardeatina, dichiarato di notevole interesse pubblico con un decreto del 2010 e protetto ai sensi dell’art. 136 del Codice dei beni culturali.
Si tratta di un paesaggio agrario considerato di “rilevante valore”, caratterizzato da ampie visuali ondulate, seminativi nudi, fossi naturali (come il Fosso Radicelli) e da un sistema insediativo rurale sparso.
Per l’amministrazione statale, un campo fotovoltaico di quelle dimensioni, su strutture metalliche, avrebbe “interrotto” le linee del paesaggio agricolo, risultando completamente avulso dal contesto. Le opere di mitigazione proposte non sarebbero state sufficienti a neutralizzare l’impatto.
Aree idonee e aree non idonee: il nodo dei 500 metri
Il punto chiave, anche per il TAR, è la qualificazione dell’area come “idonea” o meno ai sensi del decreto legislativo 199/2021, che disciplina la promozione delle rinnovabili.
Per essere idonea ex lege, un’area agricola deve essere racchiusa in un perimetro in cui tutti i punti distino non più di 500 metri da zone industriali, commerciali o da cave e miniere, e – soprattutto – non deve essere gravata da vincoli paesaggistici ai sensi del Codice dei beni culturali.
Nel caso della Selvotta, il TAR evidenzia che non è mai stato dimostrato in modo puntuale che l’intero perimetro del terreno rientri nei 500 metri dalle aree degradate richiamate dalla società. Inoltre, l’area è pacificamente all’interno di un vincolo paesaggistico: questo basta a escluderla dal novero delle aree idonee di diritto.
Il “peso” del paesaggio: parere vincolante della Soprintendenza
Poiché l’area non è idonea ex lege, non si applica il regime di favore che rende non vincolante il parere paesaggistico. In un contesto “ordinario”, il parere della Soprintendenza è vincolante per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
Il TAR ricorda che la tutela del paesaggio discende dall’articolo 9 della Costituzione e non può essere semplicemente “bilanciata” in conferenza di servizi con altri interessi, come quello alla produzione di energia.
Per questo Roma non poteva ignorare o superare la valutazione negativa della Soprintendenza: il Comune era tenuto a recepire quel parere e a chiudere la conferenza di servizi con esito sfavorevole, come poi ha fatto.
Il contrasto con la Regione Lazio e l’ordine delle valutazioni
Un elemento che avrebbe potuto creare confusione è il parere favorevole della Regione Lazio sul piano paesaggistico. La società ricorrente vi ha fatto molto affidamento per sostenere la compatibilità del progetto con il decreto di tutela dell’Agro Romano.
Il Tribunale però chiarisce che la Regione non può “ribaltare” il giudizio della Soprintendenza. Anzi, deve pronunciarsi dopo aver acquisito il parere vincolante di quest’ultima. Nel caso in esame, la Regione si è espressa prima, alterando la sequenza prevista dalla legge.
Di conseguenza, il suo parere non può essere usato per scalfire la legittimità della valutazione statale, né per far rientrare l’area nel quadro delle zone considerate idonee in via automatica.
Cosa significa per altri progetti di rinnovabili
La sentenza ha una ricaduta che va oltre il singolo impianto tra Roma e Pomezia. Il messaggio per operatori e amministrazioni è chiaro: non basta invocare la presenza di cave, discariche o infrastrutture per qualificare un’area come “idonea per legge”. La distanza di 500 metri va dimostrata sull’intero perimetro del sito, non solo rispetto a un punto; se l’area ricade dentro un vincolo paesaggistico, la via semplificata delle aree idonee si chiude e il parere della Soprintendenza torna a essere decisivo.
Per chi progetta nuovi impianti FER, il passaggio obbligato diventa una mappatura accurata dei vincoli e delle distanze, prima ancora di investire su progetti complessi e costosi.
Energia pulita sì, ma non ovunque
Il TAR, in conclusione, respinge il ricorso di E. Q. e conferma il diniego di Roma Capitale. La società viene anche condannata alle spese in favore del Comune.
La decisione non mette in discussione l’importanza delle rinnovabili, ma ribadisce un principio: l’accelerazione della transizione energetica non può travolgere le tutele paesaggistiche già esistenti, soprattutto in contesti riconosciuti come parti residue di un paesaggio storico di pregio.
Tra Roma e Pomezia, almeno per ora, il maxi parco fotovoltaico non sorgerà. Il futuro della transizione verde, in quest’area come altrove, passerà dalla capacità di conciliare impianti energetici e paesaggio, scegliendo con maggiore attenzione dove installare i pannelli.