Nel Lazio il tricolore era appeso al vaccino che non c’è

Quanti demagoghi alla regione Lazio, si erano inventati persino il vaccino tricolore. Reithera, si chiamava, e poi hanno ammainato la bandiera.
Nicola Zingaretti ci è costato otto milioni di euro con le sue manie di grandezza, magari aspirava al Nobel per la medicina, poi ci aveva pensato Domenico Arcuri con 81 milioni di soldi nostri per finanziare un vaccino tricolore. I signori del mercato libero, la ricerca di Stato. Che, per carità, potrebbe anche starci, se non fosse quel dettaglio della società proprietaria registrata in Svizzera.

Il vaccino tricolore di Arcuri e Zingaretti
Ma non sta più qui il punto. Perché quei soldi sono stati bloccati dalla Corte dei Conti e quindi nella ricerca contro il Covid di italiano c’è rimasto ben poco se non il superbo lavoro dei nostri sanitari, a cominciare dallo Spallanzani.
Ieri un’articolata inchiesta de La Stampa ha denudato il re. Dimostrando – oltre le intenzioni di un quotidiano certo non ostile alla sinistra – quanto di propagandistico ci sia stato nella gestione del contrasto della pandemia.
Hanno fatto solo propaganda di tasca nostra
Tra banchi a rotelle, Primule per inoculare i sieri e persino il vaccino tricolore, i governanti (di ieri a Palazzo Chigi, e di oggi nel Lazio) si sono cimentati in continuazione nella ricerca del colpo di scena. Sono passati – è il caso di Nicola Zingaretti – dalla derubricazione con tanto di sorriso del virus cinese a banale influenza, alla guerra senza quartiere al Covid ma senza le munizioni necessarie.
La fine ingloriosa di Reithera – a meno di improbabili resurrezioni – è il segno del pressappochismo galoppante che ha guidato i nostro eroi di cartone alla ricerca del colpo grosso. Con i soldi nostri si sono cibati dei titoloni dei giornali. Ma come spesso capita a sputare per aria ti ritorna addosso. Ovviamente, a scusarsi con il popolo italiano per le illusioni pagate di tasca nostra non ci penseranno affatto.