Velletri, “Mio padre ‘scomparso’ tra ospedali e ambulanza, volevano farmi firmare la sua condanna”: morto l’anziano. L’intervista ai parenti

ospedale Velletri

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“Io non so come facciano a volersi difendere, invece di chiedere scusa”. A parlare è la nipote dell’uomo di 91 anni che il 3 giugno è arrivato, in ambulanza, all’ospedale di Velletri. E del quale abbiamo scritto, dopo aver raccolto lo sfogo della figlia, disperata e arrabbiata per quanto successo nel nosocomio veliterno.

E proprio la pubblicazione dell’articolo ha provocato la reazione della Asl, che ha chiesto una rettifica, sostenendo che avremmo scritto “gravi inesattezze e falsità” in merito alla “gestione clinica del paziente”. Ma ora la figlia e la nipote dell’anziano vogliono raccontare, con un’intervista a due voci, tutto quello che è successo. E di cui hanno le prove, raccolte proprio durante i giorni del ricovero dell’uomo a Velletri. Che, vogliamo precisare, muore ieri, due giorni dopo il trasferimento dall’ospedale di Velletri all’UTIC dell’Ospedale di Frascati.

Il malore dell’anziano

“La situazione è più complessa di quella che è stata riportata nel primo articolo. Mio nonno è stato ricoverato martedì 3 giugno, perché al mattino presto si è sentito male per l’ennesima volta a casa. I miei, vista la serietà della situazione, hanno chiamato l’ambulanza”, spiega la nipote. L’uomo, infatti, soffriva di morbo di Parkinson in stadio avanzato, un glaucoma che l’aveva portato quasi alla cecità, più vari problemi di varia entità. Alle 7:30 avviene il ricovero al pronto soccorso, dove gli fanno i primi esami, al termine dei quali i medici devono decidere se trattenerlo o trasferirlo ad altro reparto.

“Dopo i primi accertamenti il cardiologo, parlando con mia madre, ha detto che c’erano delle aritmie nel miocardio, ancora in corso. Insomma, che il cuore non stava in grande forma, anzi, che aveva un infarto, ecco perché il peggioramento della situazione. Il medico ha quindi affermato che il paziente doveva rimanere in struttura ospedaliera e che, però, non avevano posti letto a disposizione a Velletri in terapia intensiva. Quindi, fino a quando non avessero trovato la disponibilità, l’avrebbero lasciato nella sala rossa, dove c’erano già altri due o tre pazienti. Lì abbiamo visto dei dispositivi medici, tra cui un frigo, da cui i medici prendevano i farmaci”.

Il racconto della figlia e della nipote

“In questa sala, dove mio padre, che necessitava della terapia intensiva, era stato messo, entravano e uscivano persone senza copri-scarpe né mascherine”, precisa la figlia. “Reputo gravissimo anche che i pazienti – fragilissimi, almeno nel caso di mio padre, fossero toccati senza guanti. Ma questo è solo un aspetto. Contestiamo anche quanto viene affermato nella loro richiesta di rettifica. Per questo vogliamo precisare alcune cose”.

“Ci tengo a dire che quello che io e mia madre abbiamo le prove di quello che diciamo, non siamo certo delle bugiarde”, precisa la figlia della donna, continuando il racconto. La ragazza dettaglia anche il momento in cui la nonna, moglie del 91enne, va a trovare il marito. Ha 84 anni, soffre di varie disabilità ma vuole vedere anche se per pochi minuti il marito, perché ha capito che è in gravi condizioni. “Mia nonna non aveva la forza di reggersi in piedi, eppure ha dovuto aspettare ore fuori, prima di poterlo vedere, non sapendo se sarebbe stata l’ultima volta”.

Il “mistero” del trasferimento

Da martedì 3 giugno, giorno in cui il paziente viene ricoverato, vengono attivate le procedure per cercare una struttura con UTIC, ovvero la terapia intensiva. L’uomo necessiterebbe di un intervento al cuore, ma la sua età e le sue condizioni generali non gli permetterebbero di superarlo. Quindi non si può procedere chirurgicamente, ma solo dargli assistenza medica. Che a Velletri manca a livello di posti in terapia intensiva.

“Verso le 22:30 di mercoledì 4 giugno riceviamo la chiamata da parte dell’ospedale, che ci informa che si era liberato un posto a Rieti. Mia mamma – racconta la nipote – ha acconsentito al trasferimento – anche perché era l’unico posto in tutta la regione, da quello che le avevano detto. Il giovedì mattina ci siamo preparati per andare in ospedale a Rieti, per portargli tutto l’occorrente. Ma mio padre, per scrupolo, ha chiamato l’ospedale prima di uscire di casa. E meno male che lo ha fatto. Nonno, infatti, non era mai arrivato lì. E di lui non si sapeva che fine avesse fatto. Ovviamente siamo tutti andati nel panico, credendo fosse morto”.

La figlia chiama l’ospedale di Velletri, dove il 91enne non risulta. “Ho quindi richiamato Rieti, dove mi hanno detto che il trasferimento della sera prima era stato annullato alle 2 di notte. Ho telefonato di nuovo a Velletri, ma qui dicevano di non sapere nulla. Mi sembrava di impazzire. Alla fine sono andata dai carabinieri, che mi hanno consigliato di andare al pronto soccorso e di chiedere direttamente”.

Il ritrovamento del 91enne

“Arrivata in ospedale con il cuore in gola, la situazione è stata chiarita: avevano ‘dimenticato’ di registrare il rientro di mio padre. Il trasferimento era stato annullato perché aveva avuto delle aritmie durante il tragitto e rischiava di morire. Mi sono infuriata, non ci si può ‘perdere’ i pazienti in questo modo, facendo spaventare i familiari e facendoli correre da un posto all’altro. Io non vivo a Velletri”, racconta la donna.

Ma non finisce così. Il posto a Velletri continua a non esserci. “Mi hanno detto che dovevo autorizzare un altro trasferimento sempre a Rieti, ma, al contempo, i medici mi avevano ripetuto per tutto il tempo che il trasferimento era rischioso per la vita di mio padre. In pratica, poteva morire durante il tragitto. E, chiedendomi di firmare l’autorizzazione, scaricavano su di me la responsabilità dell’eventuale decesso. Per quale motivo avrei dovuto firmare la condanna a morte di mio padre, se già poche ore prima durante il primo tentativo di trasferimento a Rieti c’erano stati problemi? Ho risposto che la responsabilità dovevano prendersela loro, non io che di medicina non so nulla. E, alle 15:28, ho rifiutato. Di certo non per andare contro la Asl o contro mio padre. Ma per non avere la sua morte sulla coscienza, visto che sia l’anestesista che il medico mi avevano che, se fosse stato il loro, di padre, non l’avrebbero fatto trasferire”.

La morte dell’uomo e il mistero dei costi

“Vorrei precisare anche il fatto dei costi. Nessuno mi ha mai chiesto soldi per i servizi del pronto soccorso. Ma, come dichiarato in precedenza e ben spiegato, visto che l’ospedale non aveva posti in terapia intensiva e che mi sono sentita costretta a rifiutare il trasferimento, avrei dovuto prendere un’ambulanza privata e portarlo in una struttura a pagamento. Purtroppo abbiamo avuto a che fare con persone poco empatiche, che non si sono rese conto della disperazione di chi sta per perdere una persona cara. E di chi, dall’altra parte, capisce che ne ha per poco e, pur non vedendo e magari non riuscendo a parlare, si sentiva abbandonato”, ha spiegato la figlia dell’uomo.

Poi insieme alla nipote, hanno dato la triste notizia. Il 91enne ieri è morto, nella terapia intensiva dell’Ospedale di Frascati. E noi siamo vicini alla famiglia, a cui mandiamo un abbraccio e le nostre condoglianze. La “completa stabilizzazione” di cui parlava la rettifica Asl, quindi, purtroppo ha avuto un esito tragico. Sarebbe potuto essere diverso, se invece che nella sala rossa (o magari senza il viaggio verso Rieti…) avesse trovato subito posto in una vera terapia intensiva?