Video intimi di De Martino on line, la Procura di Roma indaga per revenge porn

L’inchiesta sul caso dei video privati di Stefano De Martino e Caroline Tronelli finiti on line era stata descritta come un acceso sospetto di accesso abusivo ai sistemi informatici. Dopo appena pochi giorni dall’apertura del fascicolo, la realtà giudiziaria è ben diversa. La Procura di Roma ha tracciato un solco preciso: non si tratta soltanto di un’intrusione illecita nelle telecamere domestiche, ma di un caso pieno e compiuto di revenge porn, con conseguenze penali severe.
Il cuore dell’accusa
Il fascicolo è stato trasferito al pool che indaga sui reati contro le fasce deboli e la violenza di genere. Una scelta che segna la gravità dell’episodio. Il materiale sottratto non è rimasto confinato al furto digitale: quelle immagini intime, destinate a restare private, sono state diffuse, condivise e rilanciate in rete. È questo passaggio, dal semplice spionaggio informatico alla circolazione incontrollata dei video, a costituire la base dell’imputazione.

La norma violata
L’articolo 612 ter del codice penale punisce con pene fino a sei anni di carcere chi sottrae e diffonde materiale a contenuto sessualmente esplicito senza consenso. Non solo l’autore materiale del furto è responsabile: la legge colpisce anche chi contribuisce alla propagazione, inoltrando o caricando i file su piattaforme e chat. Nel caso De Martino, dunque, non rischia solo chi ha avuto accesso alle telecamere, ma l’intera catena di condivisione che ha permesso al video di correre da un portale dedicato ai filmati rubati fino alle chat di Telegram.
La ricostruzione dei magistrati
Gli inquirenti hanno delineato una dinamica precisa. Un tecnico, incaricato della manutenzione degli impianti di sorveglianza dell’abitazione romana di Tronelli, avrebbe approfittato dell’accesso privilegiato per sottrarre i filmati. Da lì, il materiale è finito in uno dei siti che raccolgono migliaia di video estorti dalle stanze più intime di abitazioni, palestre e piscine. È stato l’inizio di una diffusione inarrestabile, che ha trasformato un illecito individuale in un fenomeno virale.
Un salto di gravità giudiziaria
Rispetto alle prime notizie di un anno fa, il quadro si è aggravato notevolmente. All’inizio si ipotizzava un semplice reato di accesso abusivo, già grave in sé. Oggi invece la Procura ritiene accertata la lesione della sfera più privata, con l’aggiunta della divulgazione. Questo salto qualifica il procedimento come revenge porn, un reato che la giurisprudenza considera tra i più invasivi e umilianti per la dignità delle vittime.
Responsabilità diffuse
Il messaggio che emerge dall’inchiesta è netto: la responsabilità non si ferma all’autore originario. Chiunque abbia contribuito a diffondere quelle immagini, anche solo con un clic di “inoltra”, è potenzialmente indagabile. Una linea dura, volta a spezzare la catena di condivisione che alimenta il mercato nero dei video rubati. L’intento della Procura è quello di colpire non solo i protagonisti principali ma anche i complici silenziosi che amplificano il danno.
Un segnale pubblico
L’inchiesta non riguarda soltanto due volti noti dello spettacolo, ma assume un valore simbolico. Dimostra come le tecnologie domestiche, pensate per garantire sicurezza, possano trasformarsi in strumenti di violazione. Allo stesso tempo, evidenzia la volontà della magistratura di inquadrare il fenomeno nella sua massima gravità penale. In un’epoca in cui i confini tra sfera privata e rete globale sono sempre più sottili, il caso De Martino-Tronelli diventa un campanello d’allarme.
La sfida della giustizia
Il percorso processuale sarà lungo, ma la direzione è chiara. La Procura intende perseguire non solo l’autore materiale del furto, ma l’intera filiera che ha alimentato la diffusione dei video. Una scelta che riflette la consapevolezza della portata devastante del revenge porn, capace di travolgere reputazioni, relazioni e vite personali. La battaglia legale che si apre a Roma non riguarda soltanto due vittime illustri, ma rappresenta una sfida più ampia: difendere il diritto all’intimità nell’era digitale.