Zingaretti e Raggi volevano ‘potabilizzarlo’, Gualtieri renderlo balneabile: il Tevere resta al centro della politica di Roma

Roma, sullo sfondo il fiume Tevere, in primo piano l'ex Governatore del Lazio Nicola Zingaretti, l'ex sindaca di Roma Virginia Raggi, infine l'attuale sindaco di Roma Roberto Gualtieri

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Roma, da anni il Tevere è diventato più un terreno di ‘sperimentazione politica’ che una risorsa naturale da tutelare per davvero. Prima con la Regione Lazio, guidata all’epoca dall’ex governatore Nicola Zingaretti e il Campidoglio a trazione grillina, con Virginia Raggi, e il loro controverso progetto di rendere potabile il Tevere, grazie a un potabilizzatore Acea. Progetto nato nel 2018 e poi abortito, ma pagato oltre 12 milioni di euro di soldi pubblici. Poi, più di recente, con la giunta di Roma guidata da Roberto Gualtieri e il suo controverso progetto di renderlo balneabile entro 5 anni. Il destino del “Biondo” è stato piegato a visioni opposte, ma ugualmente problematiche. Due progetti diversi ma accomunati da un medesimo paradosso: ignorare la realtà di un fiume inquinato, maltrattato e mai realmente risanato.

L’era Zingaretti-Raggi: dal Tevere ai rubinetti

Era il 2018 quando prese corpo il progetto più controverso della giunta regionale Zingaretti bis (2018-2023), sostenuto dall’amministrazione Raggi: il potabilizzatore Acea di Grottarossa. Parliamo di un’opera Acea dal costo di oltre 12 milioni di euro che aveva lo scopo di ‘potabilizzare’ l’acqua del Tevere per poi convogliare nelle case dei romani la sua acqua, spacciata come soluzione alla crisi idrica e alle perdite colossali della rete idrica cittadina. In realtà, l’impianto prometteva di immettere nei rubinetti cittadini del bacino Acea Ato 2 fino a 500 litri al secondo del torbido fiume. Un intervento approvato da tutte le istituzioni coinvolte, a cominciare da Regione Lazio e Comune di Roma. Di recente, il progetto è stato abortito.

La ‘stagione Gualtieri’: dal bicchiere al costume

Oggi la narrazione politica si è spostata, ma non la sostanza. Il sindaco Gualtieri ha rilanciato il fiume come simbolo della sua amministrazione, promettendo di renderlo balneabile entro cinque anni. L’annuncio, fatto persino a Osaka durante Expo 2025, ha il sapore della propaganda internazionale: Roma come Parigi, il Tevere come la Senna. Ma la realtà è ben diversa. Il fiume resta uno dei corsi d’acqua più contaminati d’Italia, carico di microplastiche, batteri fecali, ammoniaca e metalli pesanti. Una miscela tossica che fa sembrare l’idea di tuffarcisi più un azzardo politico che una prospettiva concreta.

Il giudizio della scienza

Le ricerche indipendenti parlano chiaro: il Tevere trasporta la maggiore quantità di rifiuti galleggianti in mare tra i fiumi italiani. I dati dell’Ispra e delle associazioni che da anni monitorano le sue acque hanno registrato valori preoccupanti, dalle concentrazioni di Escherichia coli alla presenza di sostanze chimiche persistenti. Medici e scienziati hanno bollato come pericolosa la prospettiva della balneazione, ricordando i rischi di infezioni gastrointestinali, cutanee e persino malattie gravi come la leptospirosi. Una fotografia che stride violentemente con l’entusiasmo ottimistico del Campidoglio.

La retorica che copre i problemi

Mentre il Comune annuncia tavoli tecnici e masterplan, il dato di fatto è che nessuna amministrazione, da Zingaretti e Raggi a Gualtieri, ha affrontato il vero nodo: la bonifica strutturale del fiume. Si preferisce inseguire slogan accattivanti, che si tratti di brindare con l’acqua del Tevere o di nuotarvi dentro. Ma al di là delle conferenze stampa, la città continua a convivere con un fiume ridotto a collettore di scarichi e microplastiche, con una qualità dell’acqua lontanissima dagli standard europei.

Il fiume dei paradossi

Il Tevere rimane così al centro delle cronache, ma mai delle soluzioni. Da simbolo di degrado trasformato in vetrina politica, si è visto prima strumentalizzato per mascherare emergenze idriche e poi brandito come promessa di una capitale più moderna e attrattiva. In entrambi i casi, però, a vincere non è stata la salute pubblica né l’ambiente, ma l’illusione di poter piegare la natura alle esigenze di propaganda. E mentre i progetti si susseguono con nomi e slogan diversi, il fiume continua a scorrere torbido e trascurato, specchio fedele di una città che preferisce sognare piuttosto che risolvere.