Coronavirus, fondate speranze dal nuovo vaccino russo “Sputnik V”

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I primi dati della sperimentazione sull’uomo del vaccino russo “Sputnik V” contro Covid-19 evidenziano “un buon profilo di sicurezza senza eventi avversi per 42 giorni”. Inoltre c’è “una risposta degli anticorpi entro 21 giorni”. E’ quanto evidenziano i risultati preliminari di due studi non randomizzati di fase 1-2, pubblicati su Lancet su 76 volontari a cui è stato somministrato il vaccino in due ospedali di Mosca. La ricerca è del Gamaleya Institute of Epidemiology and Microbiology (Mosca). Il 26 agosto è partita la fase 3 della sperimentazione del vaccino su 40 mila volontari che verranno costantemente monitorati attraverso un’applicazione online.

Il vaccino deve essere conservato a 2-8 gradi

Uno degli studi ha preso in esame la formulazione congelata del vaccino e un altro la formula liofilizzata. La prima è prevista per un uso su larga scala, la seconda è per le zone difficili da raggiungere e, in quanto è più stabile, il futuro vaccino potrà essere conservato a 2-8 gradi centigradi. “Misure senza precedenti per sviluppare in Russia un vaccino anti-Covid – ha sottolineato Alexander Gintsburg, tra i curatori degli studi dell’istituto. Studi preclinici e clinici permettono di approvare provvisoriamente il vaccino ai sensi dell’attuale decreto del Governo della Federazione Russa del 3 aprile 2020. Questa autorizzazione provvisoria richiede uno studio su larga scala e consente la vaccinazione della popolazione nel contesto di uno studio di fase 3, utilizzando il vaccino sotto stretta farmacovigilanza e somministrandolo a gruppi a rischio”.

Cauti commenti dagli Usa: “Incoraggiante”

Il vaccino russo include due vettori di adenovirus. Quello umano ricombinante di tipo 26 (rAd26-S) e l’adenovirus umano ricombinante di tipo 5 (rAd5-S). Gli adenovirus sono anche indeboliti in modo che non possano replicarsi nelle cellule umane e non possano causare malattie come, ad esempio, il raffreddore. In un commento, Naor Bar-Zeev, dell’International Vaccine Access Center della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health (Usa), è cauto. “Gli studi dei colleghi sono incoraggianti ma piccoli. L’immunogenicità è di buon auspicio, sebbene non si possa dedurre nulla sull’immunogenicità nei gruppi di età più avanzata. Inoltre – aggiunge Naor Bar-Zeev – l’efficacia clinica contro il Covid-19 è ancora da dimostrare”.