Ecco le famiglie che abitano a CasaPound. Che la Raggi vorrebbe cacciare (video)

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La Raggi e i suoi alleati di sinistra insistono: CasaPound va sgomberata. Davvero non si capisce perché una delle poche, o forse l’unica, occupazione solidale a Roma vada sgomberata. Un’occupazione dove, a differenza delle altre, non si spaccia, non si delinque, l’igiene è rispettata, fa cultura nel quartiere, organizza iniziative di solidarietà, e soprattutto ha migliorato la struttura dove si trova, che – attenzione – era stata abbandonata da anni. Se davvero fosse servita, l’avrebbero utilizzata meglio anziché lasciarla nel degrado. E’ l’ennesimo attacco politico strumentale contro chi non si adegua al pensiero unico del potere.

CasaPound è un occupazione per emergenza abitativa

Dimenticavamo, l’occupazione è a scopo di emergenza abitativa. Come spiegato in un servizio su Quarta Repubblica, condotto da Nicola Porro, nell’immobile di via Napoleone III, vicino la stazione Termini, in uno dei quartieri più difficili della Capitale, abitano 57 persone, che con CasaPound in realtà hanno poco a che fare. Come spiega nel servizio una di loro: “Non avevo casa, non avevo niente, ho sentito che occupavano e mio marito, i miei figli e io siamo venuti qui. Abbiamo rifatto i lavori al bagno, alla cucina, le tubature… piano piano ce la siamo tirati su questa casa. Poi mio marito e morto e sono rimasta qui con i miei figli. Ora ho tanta paura, perché se sgombrano questo palazzo, dove vado io che ho 4.000 euro all’anni di pensione?”.

“Sono un invalido, non  me ne andrò di qui”

Un altro anziano ospite dell’immobile racconta la sua storia. “L’odio razziale di cui accusano CasaPOund – dice – viene da fuori: passano e ripassano gridando ‘fascisti!’, e tirano la roba. Guardami negli occhi, io non esco. Charo? Ho il cento per cento di invalidità, prendo 600 euro al mese e ho due figli. Adesso vengono qui e mi dicono vattene. Mi devono ammazzare prima”. Nel servizio, poi, il vice presidente di CP Simone Di Stefano mostra all’inviata di Quarta Repubblica la sede. Il posto di guardia, la sala riunioni, che in 16 anni ha ospitato oltre 200 conferenze culturali ad altissimi livelli con ospiti di tutti i tipi. Sala conferenze che è a disposizione del quartiere. Di Stefano sostiene che l’accusa di istigazione all’odio razziale è assolutamente indimostrabile perché non fondata. E comunque rivendica il suo diritto di essere giudicato da un giudice che non abbia pregiudizi nei confronti di CasaPound.