Mercato di Ostia, Giunta avvia la maxi ristrutturazione, via alla sede ‘provvisoria’: rivoluzione parcheggi. Fine lavori ‘misterioso’

Mercato di Ostia

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Il via libera politico è arrivato dalla Giunta Falconi il 18 dicembre e, sulla carta, Ostia dovrebbe vedere i primi passi concreti già da febbraio al massimo inizio di marzo 2026, così si vocifera nei corridoio municipali: parte la maxi ristrutturazione del mercato plateatico con annessi spostamenti di banchi commerciali, nuove occupazioni di suolo e cambi dei parcheggi. Il via libera ai cantieri e lai avori sono contenuti nel nuovo Piano del Commercio appena varato dall’Amministrazione. Manca solo, certo, il via libera del Consiglio del Municipio X, ultimo e definitivo.

Due sedi “provvisorie” e l’effetto domino su strade, parcheggi e bancarelle

La parola che guiderà i prossimi mesi, per la Giunta Falconi, sarà quindi “delocalizzazione” del mercato. Non si sposta solo il mercato: si spostano anche posteggi, rotazioni, banchi che già oggi vivono in equilibrio precario tra marciapiedi, carreggiate e parcheggi.

L’idea della Giunta Falconi è quella di appoggiarsi – per la sostituzione del mercato plateatico – a una soluzione provvisoria, ossia una delocalizzazione provvisoria, in via della Paranzella, ma con ricadute su via Orazio dello Sbirro e via Vasco de Gama. Tradotto: più flussi, più carico-scarico, più pressione su strade che non sono fatte per assorbire all’infinito nuove funzioni.

Ostia, l’area di interesse per le modifiche chieste dalla Giunta

Parcheggi e viabilità: cosa cambia davvero (e dove si rischia di restare “stretti”)

L’impatto più immediato sarà su sosta e scorrimento nell’area tra via della Paranzella, via Orazio dello Sbirro e via Vasco de Gama. Se qui verranno collocate postazioni “provvisorie” e spostati posteggi oggi presenti altrove, è facile prevedere meno parcheggi disponibili (perché lo spazio verrà occupato da banchi, corridoi pedonali e aree di carico-scarico) e più congestione nelle fasce orarie di montaggio e smontaggio.

In pratica: carreggiate più impegnate, più manovre, più attraversamenti “di fatto” fuori dai punti sicuri. Il rischio è che il quartiere si ritrovi con una viabilità più lenta e nervosa, a meno di interventi rapidi su segnaletica, sensi di marcia, controlli e percorsi protetti per chi va a piedi.

Spostamento di posteggi a rotazione verso aree “più commerciali”

Il testo di Giunta (che alleghiamo alla fine di questo articolo, in formato scaricabile) dice esplicitamente che, per “mutato contesto economico, urbanistico e sociale”, si valuta opportuno spostare posteggi a rotazione da varie strade (P.le Colombo, Capo dell’Argentiera, Stazione Ostia Antica, Isole del Capo Verde, viale Paolo Orlando) a via Vasco de Gama o altra area a “maggiore valore commerciale”. Posteggi fissi/isolati (anche agricoli): spostamenti per “compatibilità normativa”.

Si prevede di delocalizzare vari posteggi (elenco lungo di vie) verso via Attilio Profumo. Mercati saltuari e su strada: riassetto in attesa di un nuovo mercato. In attesa del mercato plateatico in via Domenico Morelli (dove dovrebbe trasferirsi definitivamente il mercato oggi in via Bruno Molajoli), si propone: venerdì mercato in via Gino Bonichi, martedì resta in via Bruno Molajoli. Mercato plateatico Palocco: possibile chiusura temporanea. I due posteggi attivi dovrebbero essere delocalizzati in mercati vicini perché il mercato verrebbe chiuso per lavori”.

Un mercato che vale più dei banchi: servizi, identità e vita di quartiere

Il mercato non è solo vendita: è presidio sociale, è abitudine, è un pezzo di Ostia che tiene insieme anziani, famiglie, lavoratori. Per questo ogni ristrutturazione è una promessa: “tornerà più bello, più sicuro, più decoroso”. Ma la promessa si misura nei fatti: servizi durante il trasferimento, pulizia, sicurezza, accessi, segnaletica, percorsi pedonali. Se il “provvisorio” viene gestito male, la città non vive una riqualificazione: vive un disagio. E quando il disagio dura troppo, la gente cambia abitudini e il mercato perde pezzi.

Il contesto: la battaglia eterna tra decoro, lavoro e spazio pubblico

Questa operazione non nasce nel vuoto. A Ostia – e non solo – commercio su strada, chioschi, posteggi e mercati sono da anni terreno di scontro: c’è chi chiede più ordine e marciapiedi liberi, e chi difende il lavoro di chi vive di banco e licenza. Il “Piano” serve proprio a mettere ordine, almeno sulla carta: mappare, spostare, razionalizzare. Ma il confine tra pianificazione e conflitto è sottile. Perché ogni spostamento crea vincitori e sconfitti: chi guadagna una posizione migliore e chi finisce in una zona meno appetibile.

La nota stonata: senza una data certa di fine, il rischio è il solito copione

E qui arriva il punto politico, quello che la gente sente sulla pelle: non basta dire “partiamo”, bisogna dire “quando finiamo”. Nel racconto pubblico, febbraio – forse marzo – diventano l’orizzonte del via. Ma senza una data certa di conclusione, almeno documenti resi pubblici che abbiamo potuto consultare, e quindi senza tappe verificabili, senza un impegno pubblico su tempi e penali, resta la paura più comune: che il cantiere si trasformi nel classico “iniziamo, poi vediamo”. A Roma questa storia la conosciamo: lavori che si allungano, proroghe, varianti, nuove esigenze, e alla fine il provvisorio diventa quasi permanente.

La data di inizio è un orizzonte concreto, la data di fine spesso diventa una nebbia. E senza un cronoprogramma chiaro, il timore è quello che tutti conoscono: il classico “fine lavori mai”. ma partiamo dall’inizio.

Le domande che contano: chi controlla, cosa cambia davvero, e chi paga il prezzo del “provvisorio”

La città ha diritto a risposte semplici: quanto durerà il trasferimento? quali strade subiranno modifiche? che succede a parcheggi, mezzi pubblici e passaggi pedonali? quali garanzie per gli operatori e per i residenti? E soprattutto: chi controlla che il cronoprogramma – se c’è – venga rispettato? Perché la ristrutturazione può essere un’occasione vera solo se non diventa un limbo. Ostia spera in un mercato migliore. Ma spera anche, molto concretamente, che i lavori non si trasformino nell’ennesimo cartello che resta appeso per anni: “fine lavori”, senza mai arrivare davvero.