Roma, 89enne tenta di uccidere la moglie 79enne con uno stampo per dolci: salvata grazie alle sue urla disperate

Una lite domestica che si inasprisce e sfocia nel sangue, una donna ridotta in fin di vita e un’arma improvvisata: uno stampo per dolci. E accaduto a Torre Spaccata, quartiere popolare della periferia Est di Roma, dove lo scorso autunno un uomo di 89 anni ha aggredito la moglie di 79, colpendola alla testa con ferocia inaudita. Le urla disperate della donna hanno fatto scattare l’intervento dei vicini e poi dei carabinieri. Ieri, a distanza di mesi, è arrivata la condanna a quattro anni di reclusione per tentato omicidio.
Stampo per cannoli “zavorrato” per pesare di più
La ricostruzione fatta dagli inquirenti è pesante, come riporta il Messaggero. È il 6 novembre 2024. Sono le 10.30 quando, in un condominio di via Augusto Marini, i residenti sentono le grida provenire da un appartamento. Capiscono subito che non si tratta di un litigio qualunque. Chiamano i soccorsi. Quando i carabinieri entrano, si trovano davanti a una scena drammatica: una donna a terra, sanguinante, con ferite profonde al volto. Accanto a lei, ancora con “l’arma” in mano, il marito. Uno stampo metallico per dolci, di quelli usati per modellare la pasta dei cannoli, ma zavorrato con pesetti per renderlo più pesante, in modo da essere pericoloso. Anche al punto, probabilmente, di diventare letale: circa 5 chili.

L’uomo confessa subito. Dice di essere stato provocato, di essersi sentito umiliato per via di un sifone rotto nel bagno. A suo dire, un dispetto della moglie. Afferra lo stampo che aveva tra le mani e lo trasforma in un’arma improvvisata. La blocca per un braccio, la colpisce al volto una prima volta. Lei cade. Ma lui avrebbe continuato, con altri colpi alla testa. Solo il grido d’aiuto della donna e la prontezza dei vicini evitano il peggio. La donna viene portata in codice rosso al Vannini, dove viene ricoverata in prognosi riservata. Tutto questo, appunto, viene ricostruito nel capo d’imputazione.
Anni di violenze contro la donna
Ma la versione dell’uomo vacilla, a causa delle testimonianze di altre persone. A parlare è anche la figlia della coppia, che racconta di anni e anni di maltrattamenti. Un uomo prevaricatore, violento, incapace di accettare il confronto. La dinamica viene confermata anche dagli elementi raccolti nel corso dell’indagine. Il pubblico ministero, Luca Guerzoni, chiede il massimo della pena per il reato di tentato omicidio. Ma a marzo, quando sembrava ormai tutto pronto per la sentenza, il giudice dispone una perizia psichiatrica.
Secondo gli esperti l’uomo aveva capacità ridotte, ma ancora cosciente al momento dell’aggressione. Ha agito in modo lucido, consapevole. E, soprattutto, voleva uccidere. Solo l’arrivo dei carabinieri ha impedito che quel gesto diventasse l’ennesimo femminicidio.
Il legale: “Serve prevenzione”
A commentare la condanna è l’avvocato Licia D’Amico, legale dell’associazione Insieme con Marianna, parte civile nel processo. «Siamo soddisfatti della pronuncia, anche se la pena è più bassa di quanto richiesto. Abbiamo dimostrato che si è trattato di un crimine d’odio», spiega. «Quell’uomo ha esercitato un controllo e una violenza continua sulla moglie per tutta la vita. È la storia di una sudditanza, non di un episodio isolato».
E riflette su ciò che accade ogni giorno in Italia: «Questo caso dimostra che la violenza sulle donne non ha età, non ha estrazione sociale, non ha geografia. Può colpire chiunque: una ragazzina di 14 anni uccisa a sassate o una donna di 90 aggredita con un oggetto da cucina. E finché ci limitiamo a punire senza prevenire, continueremo ad arrivare sempre troppo tardi».