Roma, consigliere Pd 7 ore in barella al pronto soccorso senza antidolorifici: “E dicono che la sanità nel Lazio funziona…”
La sanità nel Lazio funziona. Finché non ci finisci dentro. Bastano sette ore su una barella, senza un antidolorifico e con un dolore che non molla, per trasformare uno slogan in una “crepa politica”. È quello che è successo a Yuri Trombetti, consigliere al Comune di Roma del Partito Democratico e presidente della commissione Patrimonio e Politiche abitative del Campidoglio, finito nella notte tra sabato e domenica al pronto soccorso del San Camillo. Da lì, il post che rompe l’equilibrio istituzionale e mette nel mirino la sanità del Lazio.
La notte al San Camillo: barelle, attese infinite e personale ridotto
Dolori fortissimi all’addome, una cistifellea infiammata, la corsa nell’ospedale più vicino a casa. Trombetti entra al San Camillo intorno alle 22. Ne esce alle 5.30 del mattino. In mezzo, racconta, sette ore di attesa, una barella in uno stanzone condiviso con altri pazienti e nessuna terapia antidolorifica. Il quadro che descrive è quello di un pronto soccorso al limite, aggravato dai giorni festivi e dall’ennesima ondata di accessi legata a influenze e bronchiti stagionali. Ma il punto politico arriva subito dopo: durante tutta la notte, sostiene Trombetti, una sola dottoressa e tre infermieri a reggere il reparto.
La denuncia esplode sui social, con una frase che pesa più di un comunicato: “Sette ore al pronto soccorso senza un antidolorifico. Meno male che la sanità del Lazio funziona”. Un’ironia amara che diventa subito atto politico, soprattutto perché arriva da un esponente di primo piano della maggioranza capitolina. Nel racconto c’è anche la rabbia degli altri pazienti, entrati nel pomeriggio e ancora in attesa a notte fonda. Alcuni, dice, se ne sono andati esasperati. Altri sono rimasti, inermi sulle barelle, in quello che definisce senza giri di parole “scene da pazzi”.
Organici ridotti e pronto soccorso sotto pressione
Il quadro che emerge è quello, già noto, di pronto soccorso in affanno, soprattutto nei giorni di festa. Trombetti non attacca medici e infermieri, anzi ne sottolinea implicitamente il sovraccarico. Il bersaglio è la narrazione ufficiale di una sanità regionale in miglioramento, che però, una volta varcata la porta del pronto soccorso, mostra tutte le sue fragilità. La pressione sugli urgentisti, da tempo, è uno dei nervi scoperti della sanità pubblica. Liste d’attesa, carenza di personale, spazi inadeguati: problemi strutturali che esplodono proprio dove il sistema dovrebbe reggere l’urto. “Poi ci raccontano che la sanità va meglio nel Lazio”, scrive. Una frase che pesa perché rompe il fronte interno al centrosinistra e riapre il dossier su liste d’attesa, carenza di personale e pronto soccorso congestionati, temi che da mesi alimentano il dibattito politico romano.
Una sanità che regge solo nei comunicati
Ora Trombetti è a casa, segue la terapia e promette battaglia. Non solo per sé, ma per un sistema che funziona sulla carta e scricchiola nella realtà. Il suo racconto, proprio perché arriva da un amministratore, diventa un caso politico difficile da archiviare. Ma al di là dei ruoli, l’episodio intercetta una sensazione diffusa: la distanza tra narrazione ufficiale e esperienza reale dei cittadini. Chi passa da un pronto soccorso sovraffollato non fa statistiche. Racconta una notte, un dolore, un’attesa.
Ed è proprio questo che rende il caso Trombetti politicamente rilevante. Non perché eccezionale, ma perché ordinario. Una storia che somiglia a tante altre. Con una differenza: questa volta a scriverla è un esponente delle istituzioni. E se anche chi governa la città si ritrova sette ore su una barella, senza risposte e senza cure immediate, la domanda è inevitabile: quanto regge davvero la sanità del Lazio?