Roma, ok a 11mila metri quadri di nuovi capannoni su terreni pubblici a Acilia: la rigenerazione resta una promessa disattesa
Rigenerare invece di costruire. È questo il cuore del concetto di rigenerazione urbana: un modello di sviluppo che vale per il settore civile come per quello industriale e che punta a recuperare gli spazi già edificati, ma abbandonati o comunque inutilizzati. Ma a Roma, come spesso accade, la teoria resta chiusa nei cassetti. Al limite viene usata per le campagne elettorali dal sapore ‘green’, di vari partiti soprattutto progressisti. Ma la pratica prende poi quasi sempre un’altra strada. L’ultima decisione del Campidoglio del 12 novembre ne è un esempio lampante. Il Comune di Roma ha dato il via libera a circa 11mila e 500 metri quadrati di nuovi capannoni artigianali tra Acilia e Dragona su terreni pubblici, nel quadrante sud-ovest della Capitale. Un intervento che la Giunta Gualtieri presenta come sostegno all’economia locale, ma che di fatto continuerà a occupare nuovo terreno intonso, verde, che verrà cementificato. Parliamo di un’area (pubblica) grande più di due campi da calcio di serie A.
Capannoni al posto del recupero
Con questa ultima decisione, Roma approva la graduatoria del bando pubblico per l’assegnazione in diritto di superficie di quattro lotti artigianali di proprietà comunale. Per un totale, per la precisione, di 11.641,86 metri quadrati. Il bando, risalente a maggio, prevedeva la possibilità di ottenere i terreni a lungo termine, con l’impegno di realizzare attività produttive e capannoni connessi.
A partecipare sono state due aziende, il C. A. 2. e la T. S.r.l.. Il progetto rientra nel vecchio Piano degli Insediamenti Produttivi (P.I.P.) 11/L, avviato negli anni Settanta e mai completato. Ma il suo spirito originario – creare lavoro senza compromettere l’ambiente urbano – oggi si scontra con un territorio che avrebbe bisogno, forse, di altro. Ossia, prima di tutto, recupero e manutenzione dell’esistente, non di nuove costruzioni.
Una storia che parte da lontano
Il piano industriale di Acilia-Dragona difatti affonda le sue radici nelle deliberazioni comunali del 1978 e 1980, quando Roma decise di destinare l’area a insediamenti produttivi. Con la delibera del 1981 arrivò il piano di lottizzazione, pensato per creare una “cittadella dell’artigianato” pubblica, ordinata e funzionale.
Da allora, decine di gare pubbliche e varianti urbanistiche si sono succedute, ma il quadro generale è rimasto incompleto: 120 lotti previsti, 96 assegnati, 24 ancora liberi o in attesa di edificazione.
Un piano che guarda al passato?
La nuova determinazione comunale si inserisce in questo quadro d’insieme che risale a 50 anni fa. Ma, al di là della forma, resta invariato l’approccio: nuove concessioni su nuovi lotti, esattamanet ecose accadeva nei decenni passati, invece di un piano di recupero degli spazi già costruiti e oggi inutilizzati? La stessa amministrazione riconosce che nel comprensorio restano ancora oltre 37mila metri quadrati di lotti liberi, eppure solo una parte di essi è stata messa a bando. Il resto resta in sospeso. Mentre l’area si presenta come un paesaggio a metà tra zona industriale e periferia dimenticata. Tutto intorno sterpaglie, strade malmesse e servizi più che scadenti, per i cittadini.
L’obiettivo economico e la realtà sociale
Ufficialmente, il bando del comune di Roma punta a stimolare l’economia locale e creare occupazione. Gli artigiani assegnatari dovranno avviare attività capaci di generare sviluppo e il Comune promette che seguiranno altri avvisi pubblici per i lotti rimasti liberi. Ma la popolazione di Roma osserva da anni il ripetersi, troppo spesso, dello stesso copione: progetti industriali che non portano vera rigenerazione, infrastrutture che non migliorano e aree pubbliche che diventano cattedrali nel deserto.
Mentre la città parla di sostenibilità e rigenerazione, nei fatti continua a consumare terreno invece di valorizzare quello già edificato. È un paradosso che fotografa bene la distanza tra le parole e le politiche concrete di governo del territorio. Finché Roma non sceglierà di recuperare ciò che ha già costruito invece di erodere nuovo suolo, continuerà a chiamare “sviluppo” ciò che, in realtà, è solo espansione senza futuro.